Germaine Sijstermans / Koen Nutters / Reinier van Houdt – Circles, Reeds, and Memories

Elsewhere, 2023
experimental, contemporary classical


(ENGLISH TEXT BELOW)

‘Coltivare insieme la solitudine’: un po’ troppo melenso, come titolo per una pubblicazione di questo profilo, ma se fossi costretto alla più estrema sintesi verbale lo sceglierei senz’altro, nel vano tentativo di racchiudervi le sfuggenti, inesprimibili malinconie suscitate da questo trio/trittico. Un raro incontro dal vivo, e tutto olandese, tra figure di rilievo della sperimentazione musicale ad ampio raggio: Germaine Sijstermans, Koen Nutters e Reinier van Houdt sono tutti già apparsi a vario titolo nel ricco catalogo Elsewhere, ma più di altre questa registrazione pare risplendere dell’aura tipica di un evento senza possibilità di replica, quello stato di grazia che non nasce premeditato bensì sorge poco a poco, inintenzionalmente, dall’esercizio della massima dedizione performativa.

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Jürg Frey – lieues d’ombres

Reinier van Houdt

Elsewhere, 2022
reductionism


(ENGLISH TEXT BELOW)

È una sfida insidiosa ma che mi vedo sempre costretto a cogliere: perché sull’opera di Jürg Frey c’è tutto da dire eppure nulla: in essa alberga il mistero profondo del suono, il suo potere subdolo e nondimeno trasparente, cristallino come le note che il compositore svizzero traccia sullo spartito con la stessa compìta fatalità, non v’è dubbio, del padre spirituale Feldman.
Ma la sfida più ardua grava sempre sull’interprete, incaricato di sottrarre la partitura al destino di un fuoco fatuo, di un esercizio d’assenza le cui rade impressioni echeggino a vuoto, come punteggiature rubate al loro discorso e rimaste sospese, cripticamente, nel languore di un foglio bianco.

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Reinier van Houdt – drift nowhere past / the adventure of sleep

elsewhere, 2022
eai, experimental

(ENGLISH TEXT BELOW)

Ogni regola, ogni pratica abituale è venuta improvvisamente meno per tentare di far fronte ai mesi dell’isolamento. Ai piani di lungo termine si è sostituita la strategia di sopravvivenza quotidiana, con qualunque mezzo necessario. Per l’artista di professione – l’ingranaggio “in eccesso” nella macchina sociale –, una crisi profonda a tal punto da rimettere in discussione il proprio ruolo individuale, scavalcato dall’eroismo conclamato del settore sanitario e della classe operaia che nonostante tutto eccetera eccetera.
Nelle rare esternazioni pubbliche di Reinier van Houdt, in quel periodo, ho letto parole disarmate, vuote di speranza in un ritorno alla pur precaria normalità di prima. Ma forse mai come in quel momento, per lui e per tantissimi altri, l’arte è stata il rifugio più immediato e irrinunciabile, il luogo dell’illusione e dell’utopia ove dar sfogo alle proprie angosce.

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Jürg Frey – l’air, l’instant – deux pianos

Dante Boon / Reinier van Houdt

Elsewhere, 2020
contemporary classical, reductionism

(ENGLISH TEXT BELOW)

Perché quattro mani? In quale momento storico, a quale scopo due musicisti si sono seduti allo stesso pianoforte, o ne hanno affiancati due? Eccezion fatta per i divertissement domestici o teatrali, normalmente un tale assetto soddisfa la necessità di un ampliamento delle soluzioni armoniche, oppure di un’equa suddivisione di architetture ritmiche e melodiche complesse: limitandosi al Novecento inoltrato si spazia dalle “Visions de l’Amen” di Messiaen e le “Structures” di Boulez al moto circolare di suite minimaliste come “Hallelujah Junction” di John Adams, sino al triplice estremo dei “Six Pianos” di Steve Reich.
Nel mezzo, come in molti altri casi, si poneva un’illuminata visione atta a ridefinire l’orizzonte temporale della musica, instaurando una relazione tra suono e silenzio diametralmente opposta persino rispetto alle coeve avanguardie: John Cage e Morton Feldman hanno spontaneamente tracciato le coordinate di una poetica della riduzione che oggi trova in Jürg Frey uno dei suoi più sensibili e raffinati interpreti, anch’egli avvicinatosi di recente alla scrittura per due pianoforti.

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