Spektral Quartet, Julia Holter, Alex Temple – Behind the Wallpaper

New Amsterdam, 2023
modern classical, songwriter


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Non so dire con certezza se ci sia effettivamente stato, ormai una quindicina di anni fa, un periodo d’oro nel corso del quale la musica indie seppe mettere a frutto un certo qual afflato neoclassico, una raffinata indole cameristica che già oggi tende ad apparire un poco démodée. So per certo che alcuni di quegli episodici album furono la delizia del tardo adolescente che ero, un’oasi idilliaca nel pieno disorientamento esistenziale, e oggi una nostalgia che non sapevo di avere – quantomeno prima di ascoltare Behind the Wallpaper.

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Christina Vantzou – No. 5

Kranky, 2022
sound art, ambient, modern classical


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Diverse esponenti della nuova sound art elettronica sembrano intrattenere un rapporto privilegiato e fruttuoso con la dimensione onirica, ciascuna al livello che meglio si conforma alla propria sensibilità artistica: vi sono infatti più gradazioni che, dalle fitte nebbie del sonno profondo (Klara Lewis, Félicia Atkinson), conducono alle figure sfuggenti e solo vagamente familiari di quello lucido (Anne Guthrie, claire rousay).
Nella sua produzione in studio, Christina Vantzou sembra aver solcato alternatamente entrambe le sponde, con una cesura piuttosto netta a separare gli ultimi due album “numerici” (No. 3 e No. 4) dalla più decisa incursione nel field recording di Multi Natural (2020). È ora con una sintesi stilistica inedita, assieme a un’ulteriore maturità espressiva, che la compositrice statunitense si riallaccia al corpus originario, assorbendo gli spunti concettuali – ma soprattutto emozionali – suggeriti dai limpidi orizzonti delle isole egee.

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Evgueni Galperine – Theory of Becoming

ECM, 2022
modern classical, electroacoustic


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Creare e suonare musica, incidere un disco, sono in fondo imprese che, con la condivisione della conoscenza e la tecnologia di cui disponiamo oggi, risultano alla portata di chiunque sia dotato di sufficiente immaginazione e perseveranza. Assai meno banale, invece, riuscire a trovare la propria voce individuale, un tratto inconfondibile, nella consapevolezza che nulla s’inventa di sana pianta e tutto, anzi, è rigenerazione di esperienze pregresse, predilezioni e memorie latenti.
Sin dalle battute iniziali del suo primo album di brani originali non destinati al cinema, è fuor di dubbio che Evgueni Galperine (*1974) sia figlio tanto del suo tempo quanto, in un certo senso, della storica etichetta che ha scelto di produrlo: ma Theory of Becoming è anche e soprattutto l’attestato di un raggiunto equilibrio fra le espressività predominanti della corrente modern classical e un approccio elettronico volto alla proiezione deformante, ipertrofica, di fonti acustiche nello spazio.

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Robert Haigh – Human Remains

Unseen Worlds, 2022
modern classical

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Incidere il proprio album finale significa non lasciare al destino l’opportunità di suggellare un percorso artistico senza il consenso del suo artefice. C’è una grazia rara, oggi persino inimmaginabile, nel fare un inchino e allontanarsi dalla scena in punta di piedi, consci di aver messo in musica tutto ciò per cui avesse senso farlo. Per qualche tempo Robert Haigh ha rimandato la decisione e infine l’ha mantenuta, consegnando Human Remains a Tommy McCutchon – direttore di Unseen Worlds – per concentrarsi su altre ispirazioni visive, espressioni complementari del suo sentimento della vita.

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Sarah Davachi – Antiphonals

Late Music, 2021
ambient/drone, modern classical

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La distrazione e, più in generale, le condizioni d’ascolto errate possono arrivare a celare completamente il quieto splendore della musica di Sarah Davachi: una musica inequivocabilmente vespertina, crepuscolare, cui soltanto l’ora tarda e il silenzio sembrano in grado di conferire un sottile manto di sacralità; un dominio espressivo che rifugge la dissonanza e accoglie, invece, il tono complementare, l’armonia aurea e sublime che già fu del tintinnabuli di Arvo Pärt e che nell’opera di Davachi appare sempre nella sua forma più sobria e impalpabile.

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