Iannis Xenakis – Electroacoustic Works

Karlrecords, 2022
electroacoustic, avantgarde

(ENGLISH TEXTS BELOW)

In materia di archivi musicali storici, le questioni più immediate riguardano senz’altro la conservazione e la riedizione di molte incisioni sperimentali su nastro, siano esse d’importanza capitale o semplici “schegge”, propaggini di una ricerca collettiva rimasta sepolta dalle sabbie del tempo (pensiamo, ad esempio, all’encomiabile serie di ristampe INA-GRM sotto l’egida del compianto Peter Rehberg via Editions Mego). Ma è altrettanto evidente che, in alcune circostanze, l’intervento debba rendersi molto più specifico e accurato: è il caso delle seminali opere elettroniche di Iannis Xenakis, maestro del Novecento il quale si è votato alla progettazione di un universo sonoro generato e governato tanto dalle leggi della matematica quanto dalle forme complesse di un’architettura utopica.

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Anthony Braxton – 12 Comp (ZIM) 2017

Firehouse 12, 2021
avantgarde, chamber free jazz

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Navigare al seguito di un genio eccentrico come Anthony Braxton non è cosa da tutti, poiché le libertà che offre all’esecutore non sono mai assolute e rispondono sempre a una visione parimenti risoluta e priva di compromessi. Significa abbracciare le molteplici declinazioni di un linguaggio inestricabile e irrisolvibile, iterazione evolutiva di un sistema musicale eminentemente postmoderno che non potrà mai essere ascritto a un solo genere o una sola stagione d’avanguardia, poiché passibile di infinite riletture strumentali e combinazioni tra partiture afferenti a un catalogo già di per sé sconfinato.

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Alessandro Bosetti – Didone

Kohlhaas, 2021
contemporary classical, avantgarde

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Per quanto drasticamente finiscano con l’allontanarsene, l’ispirazione concettuale e le modalità espressive di Alessandro Bosetti originano e si sviluppano sempre a partire dalla radice umana: voce, linguaggio, pratiche relazionali e identità culturali costituiscono l’inestricabile matassa di una poetica multiforme in stretto – e finanche ossessivo – rapporto con l’esperienza “codificata” del reale.
Non fa eccezione, e anzi rimarca la coerenza del suo percorso di ricerca, lo sfuggente e sardonico ritratto cameristico di “Didone” (2019): un concept di mitologia postmoderna nel quale il profilo reimmaginato della prima regina di Cartagine, decantata anche nell’Eneide, si (s)compone delle disorganiche moltitudini facenti capo ai suoi interpreti, sorgente e sfocio della sua intrinseca alterità.

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Fred Frith / Ikue Mori – A Mountain Doesn’t Know It’s Tall

Intakt, 2021
free impro, avantgarde

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Diversi gradi di maestria possono sancire la buona riuscita di un’istanza performativa incerta come la sessione improvvisata: quello di un insieme “entropico” di solisti/soliloquenti la cui sola padronanza tecnica ed espressiva è sufficiente a lasciare sbalorditi; oppure quello di una formazione dall’interplay “empatico” ed estremamente calibrato, proiettata a un esito condiviso; e infine il caso più raro, nel quale si instaura una pratica relazionale a tal punto simbiotica da suggerire una “narrazione” sonora perfettamente compiuta, quasi indistinguibile da una composizione premeditata. Raro, si diceva, poiché è sempre e soltanto l’alchimia dell’istante a determinare il successo di un esperimento, quand’anche reiterato nel tempo, e non è dunque scontato che ciò avvenga nemmeno tra i più rodati improvvisatori.

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