Maxime Denuc – Nachthorn

Vlek, 2022
minimalism


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Qui accade qualcosa di semplice e straordinario, qualcosa che oggi, con il graduale ritorno all’analogico e all’unplugged, dovrebbe verificarsi assai più di frequente: l’elettronica si mette al completo servizio dell’universo acustico, pur mantenendo intatte entrambe le matrici e rafforzandone le inalienabili specificità.
Siamo presso la St. Antonius Kirche di Düsseldorf, il cui organo a canne principale è stato implementato con un sistema di controllo informatico integrale, tale per cui una qualsiasi composizione realizzata con un software di notazione MIDI può essere eseguita senza alcun intervento manuale. Uno strumento essenzialmente meccanico, dunque, che diviene pura macchina, artefice passivo di un’operazione musicale predeterminata, non soggetta all’umore e alle accidentalità cha caratterizzano l’esecuzione dal vivo di un (fallibile) essere umano.

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Aviva Endean – Moths & Stars

Room40, 2022
electroacoustic


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Un titolo che sembra parafrasare il tardo opus magnum di Olivier Messiaen, “Des canyons aux étoiles…”, suggestiva metafora del soffio vitale e dell’incommensurabile spirito che abbraccia l’universo ad ogni suo livello, insito nei più microscopici ecosistemi come nella maestosità delle sfere celesti. Non ha una così vasta ambizione il secondo album della clarinettista sperimentale australiana Aviva Endean: eppure Moths & Stars riesce a rappresentare efficacemente il collasso, la simbiosi di spazi e tempi musicali tra loro distanti, la reale coesistenza di istanze percettive alle quali non è di per sé scontato prestare attenzione, ma che sarebbe del tutto impossibile incontrare in uno stesso frangente.

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Jaka Berger – Cornelius Cardew: Treatise

Friforma, 2022
free impro


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La libertà in musica è da tutti convenzionalmente associata alla figura di John Cage, lo spartiacque del Novecento che ha aperto la creazione sonora al caso, al silenzio e ai più eterodossi approcci performativi. Ciò che a molti sembra sfuggire è che tale libertà estrema riguarda quasi esclusivamente la scaturigine, ovvero il compositore stesso, mentre agli interpreti coinvolti è richiesta una fedeltà rigorosa ai principi stabiliti da Cage, alla sua peculiare – e pur sempre individuale – visione.
Ci è voluta l’audacia, ma soprattutto la generosità intellettuale, di un autentico outsider come Cornelius Cardew (1936 – 1981) per “canonizzare” l’espediente della partitura grafica, offrendo di fatto lo spunto per un’infinita gamma di scelte espressive, l’input per una lettura autonoma e autoriferita entro cui l’ideatore originario non ha più alcuna voce in capitolo.

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Minami Saeki / Ayami Suzuki / Taku Sugimoto / Takashi Masubuchi – Improvisation at Permian

self-released, 2022
reductionism, onkyo


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Ripiegata sulle proprie reminiscenze e assalita dall’ansia dell’avvenire, sembra che la cultura occidentale non abbia mai davvero conosciuto l’attimo presente: è d’altronde un tempo che rasenta l’inesistenza, costantemente teso fra intenzione e agire, e cui dunque, a dispetto del suo stesso nome, si finisce spesso per essere assenti. È al contrario quasi un’esclusiva delle arti e della filosofia giapponesi l’attenzione al transeunte e all’ineffabile, senza preoccuparsi di ciò che resta ma soltanto di ciò che è, l’accadimento sempre unico e irripetibile dell’esistenza.

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Joanna Mattrey & gabby fluke-mogul – Oracle

Relative Pitch, 2022
free impro


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L’immagine scelta per rappresentare un disco offre sempre una quantità sorprendente di indizi, e in questo caso sembra dire tutto. È il ritratto di chi non ha nulla da nascondere, né confronti da temere – questi ultimi essendo esclusi a priori –, la fiera affermazione di un’arte priva di filtri o fronzoli. Una promessa di sincerità ma anche di sfida, uno sguardo diretto che proclama, con pacata solennità: “il manifesto siamo noi”.
I profili di Joanna Mattrey e gabby fluke-mogul non si affacciano dal nulla, poiché già da alcuni anni la scena sperimentale newyorkese ne ha scoperto e messo a frutto i talenti: eppure Oracle suona infallibilmente come un nuovo inizio, anzi otto nuovi inizi, dato che la musica spontanea non poggia su solide fondamenta ma al contrario conosce soltanto la vertigine del malagevole, galvanizzante ‘qui e ora’.

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