Julius Eastman – Femenine

ensemble 0 & AUM Grand Ensemble

Sub Rosa, 2021
minimalism

(ENGLISH TEXT BELOW)

Se si fosse paventata trent’anni più tardi, una fine tragicamente silenziosa come quella di Julius Eastman (1940-1990) avrebbe forse potuto essere scongiurata: oggi – mi piace crederlo – la comunità globale sarebbe accorsa a sostenere, economicamente e moralmente, un così vivace talento creativo e militante; un outsider sotto ogni aspetto (emarginato, come è noto, in quanto nero e apertamente omosessuale), fedele sino all’ultimo alla propria vocazione, prima di arrendersi all’ombra di una morte sofferta e in solitudine, quasi del tutto dimenticato persino dai suoi amici e collaboratori.
Non soltanto la travagliata vicenda umana, ma anche le distintive composizioni di Eastman hanno attraversato un lungo periodo di oblio, finché una lodevole ricostruzione filologica ha portato al recupero di diverse partiture e registrazioni dell’epoca, testimonianze inestimabili e prodromiche alla nascita di un tardivo ma accorato culto musicale.

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Anna von Hausswolff – All Thoughts Fly

Southern Lord, 2020
ambient/drone, minimalism

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Può risultare limitante e dannoso, per un artista, ritrovarsi incasellato in una precisa corrente o in un ambito stilistico che ne circoscriva il pubblico potenziale, così precludendo, in molti casi, una trasversalità che nel panorama contemporaneo è invece quantomai realizzabile. La figlia d’arte Anna von Hausswolff, pur godendo già da diversi anni di ampio riscontro presso il pubblico underground, sembra voler “assolutizzare” la sfera tematica e simbolica dalla quale anche altri nomi d’area dark hanno vieppiù teso a disancorarsi: è anche lei parte, insomma, del graduale e generalizzato spostamento d’attenzione dall’immanente al trascendente, della spinta verso una nuova dimensione sacrale e spirituale che tuttavia non tralascia la radice fragilmente umana dalla quale scaturisce. 

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Federico Mompou – Música Callada / James Rushford – See the Welter

James Rushford, piano

Unseen Worlds, 2020
modern classical, minimalism

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Che si trattasse di più o meno sincera umiltà, di una provocazione proto-dadaista o di una strategia di marketing ante litteram, la ‘musica da arredamento’ di Erik Satie ha aperto la strada a un concettualismo semiserio in un’epoca ancora dominata dal mito del compositore romantico e dei suoi intensi struggimenti. Voler distogliere l’attenzione da una melodia seducente e cristallina è di per sé un controsenso, tale però da mettere in luce il nostro mutevole rapporto con la pratica dell’ascolto, a seconda dei luoghi o dei contesti sociali in cui essa si propone.

Così come la più stoica determinazione può condurre da uno stato attentivo all’inavvertita distrazione, un approccio “laterale” e ozioso può invece innescare un processo di osmosi totale tra la sorgente musicale e il suo fruitore: è il punto di vantaggio di una musica talmente intima da rendersi fatua, inafferrabile, intrinsecamente adescrittiva. Ed è in tali recondite profondità che prendevano forma i quattro ‘quaderni’ di “Música Callada”, magnum opus e testamento spirituale del catalano Federico Mompou (1893-1987), compositore e pianista dal tratto ancora oggi attualissimo.

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Alvin Curran – Inner Cities

Gabriella Smart
Room40, 2020
contemporary classical, minimalism

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La storia del tour de force pianistico, almeno a livello ufficiale, ebbe probabilmente inizio con i virtuosismi estremi di Franz Liszt, ovvero la trascendenza per mezzo del talento e dell’estro esecutivo, esibiti nell’assoluta padronanza di temi e variazioni esposti in rapida sequenza, riversati sullo spartito e sullo strumento come un fiume in piena. Venne poi la somma provocazione: con la boutade proto-dadaista delle “Vexations” di Erik Satie ci si spostava dalla difficoltà tecnica alla pura resistenza fisica, condannando il musicista e il suo (presunto) ascoltatore all’assurdità di una melodia ripetuta ossessivamente per un lasso di tempo inconcepibile.
I due estremi arriveranno a sfiorarsi nell’America del minimalismo: il ‘Well-Tuned Piano’ di La Monte Young e il magnum opus ritrovato di Dennis Johnson, “November”, pongono le basi per la nascita di quello che potremmo definire, in mancanza di termini migliori, un virtuosismo “verticale”; soppesare ogni singola nota e il suo spazio negativo come elementi paritari, nella suggestione immaginifica come nella totale astrazione di un’imperscrutabile interiorità.

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Sarah Davachi – Cantus, Descant

Late Music, 2020
ambient/drone, minimalism

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Ho ripensato al romanzo di László Krasznahorkai, “Melancolia della resistenza”, dal quale il maestro ungherese Béla Tarr avrebbe poi tratto il lungometraggio “Le armonie di Werckmeister”: la riaccordatura di un pianoforte dalla cosiddetta intonazione naturale al “temperamento equabile” – proposto nel Seicento da Andreas Werckmeister – è concomitante all’insorgere di una sommossa popolare che porta in sé il seme della follia e dell’irrazionalità. Ho poi pensato a come ogni storia, grossomodo, alterni ciclicamente ordine e caos, andando incontro a punti di rottura dopo i quali si ristabilisce un nuovo equilibrio, per quanto precario, effimero o addirittura illusorio.
È oggi evidente come anche i radicali sconvolgimenti delle avanguardie storiche musicali, pur evolvendosi costantemente ed esercitando a lungo la loro influenza sulle generazioni successive, abbiano gradualmente proceduto in direzione di un inevitabile “ritorno all’ordine”, quella New Simplicity che ha riportato la tonalità e le strutture semplici al cuore della pratica compositiva.

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