Ryoji Ikeda – Music for Installations vol. 1

Codex Edition, 2021
minimal glitch, sound art

(ENGLISH TEXT BELOW)

La riduzione del mondo sensibile a un fluire inarrestabile di dati, di vuoti (zero) e pieni (uno): così appare – in un riflesso tanto pregnante quanto radicalmente astratto dell’età contemporanea – l’arte installativa di Ryoji Ikeda, dispiegata in ambienti ipnotici e immersivi entro i quali perdere contatto con la realtà tangibile, arrivando a immaginarsi come parte passiva di una Flatlandia governata dal calcolo e soggetta a una rigorosa suddivisione geometrica del tempo e dello spazio.
Rimane da chiedersi, in questo come in altri casi analoghi, se sia del tutto lecito dissociare la soverchiante componente visiva dal sound design che ne costituisce parte integrante, benché talvolta divenga inevitabilmente secondaria rispetto alle architetture di luce che invadono le gigantesche sedi espositive cui è destinata, in maniera vieppiù capillare, la fruizione dell’arte contemporanea.

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Fuantei – Kaze ga kanjō o hakobu. Subete ga kawarudarou

901 Editions, 2021
ambient, field recordings

(ENGLISH TEXT BELOW)

Credo che non ci sia momento più appropriato del primissimo mattino, appena sul fare del giorno, per ascoltare questo delicatissimo esordio di Fuantei: quel momento in cui i contorni dell’orizzonte si stagliano come tenui pitture di luce, mentre lo scenario acustico si popola, un minuto alla volta, dei distintivi flussi sonori umani, animali e meccanici. Ecco, questo piccolo, pregnante tratteggio musical-documentale è la libera descrizione di un frangente di vita liminale, ancora imbevuto di un viscoso onirismo destinato a dissolversi nella caotica commozione della quotidianità.

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아버지 [father] ‎– residue

self-released, 2020
ambient, vaporwave

(ENGLISH TEXT BELOW)

“My generation is going to be known for wanting to die and memes.” Apparsa su un giornale e divenuta a sua volta un meme virale su Internet, questa grottesca citazione sembra condensare l’inestricabile matassa di pensieri e sentimenti che gravano sulla sopravvivenza quotidiana dei millennials, e più in generale di chi si trova ad affrontare un proprio percorso di crescita nel travagliato ventunesimo secolo. Il senso di profondo smarrimento provocato da una socialità disintegrata, da ambienti educativi e lavorativi opprimenti, da un mercato globale che crea ed esaudisce desideri illusori, portano a sviluppare goffi meccanismi di difesa nei quali rifugiarsi perpetuamente, rimandando ogni drastica decisione a un indefinito domani. Sempre più fluida e pervasiva, la musica rimane per molti un’ancora di salvataggio, o quantomeno un veicolo di compassione atto a sentirsi meno soli.

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William Basinski – Lamentations

Temporary Residence Ltd., 2020
ambient, tape music

(ENGLISH TEXT BELOW)

Occorre risalire alle scritture dell’Antico Testamento per comprendere il senso della lamentatio, il grido che sorge dalla tragedia umana ed echeggia nella storia per voce dei profeti e degli evangelisti, dalla devastazione di Gerusalemme per mano dei Babilonesi alla crocifissione di Cristo. Nelle arti occidentali, in particolare, ha attraversato i secoli l’immagine della Mater dolorosa davanti al corpo senza vita del figlio, eternata nelle opere di Giotto, Michelangelo e Giovanni Bellini ma anche nelle polifonie dei maestri di cappella rinascimentali, sino ai nostri contemporanei quali Penderecki, Pärt, Górecki e MacMillan.
Niente affatto scevra da una propria forma di sacralità e trascendenza, si può dire che l’intera opera di William Basinski consista nel dare forma concreta al lamento del tempo: quello perduto e ineffabile della malinconia, cristallizzata nell’incessante iterazione di cellule motiviche, e quello della realtà che decade e si dissolve sotto i nostri occhi, un istante dopo l’altro, finché non ne rimane soltanto la più esile essenza.

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