901 Editions, 2022
reductionism

(ENGLISH TEXT BELOW)

Nel corso degli ultimi decenni le vie dell’understatement musicale si sono andate ramificando e radicalizzando non soltanto sul fronte estetico ma anche su quello concettuale: una volta approfondito il dialogo col silenzio (o meglio, con la sua apparenza), qualcuno si è domandato se fosse possibile perseguire l’utopia di una “sparizione autoriale”, ovvero il manifestarsi di una realtà sonora non sollecitata, pressoché inavvertita. E non si tratta di compiere uno sterile atto di modestia, bensì di valicare i limiti estremi dell’intenzione creativa e sondare l’ipotetica soglia liminale tra suono naturale e artificiale. In questo interstizio si cela, forse, la “musica a venire” teorizzata da François Bonnet, svuotata di ogni personalismo per darsi nella sua incorrotta essenza.

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Formatosi a Copenhagen nel 2019, il progetto dell’Ensemble Ektòs sembrerebbe concepito apposta per incontrare la rigorosa linea curatoriale di 901 Editions, e anzi ne sancisce un approdo topico: la conquista di un grado di espressività esiguo eppure mai del tutto nullo, voce pregnante di una presenza/assenza in fragile equilibrio con lo spazio circostante. Seguendo una dinamica non dissimile da “l’âme est sans retenue I” di Jürg Frey, Semèia Kài Tèrata [‘segni e prodigi’] alterna con assoluta precisione sessanta secondi di ridotta azione sonora e altrettanti di totale silenzio generato digitalmente in studio – l’unica istanza in cui esso possa effettivamente esistere.
Sarebbe tuttavia errato considerare l’album inciso solo per metà: in pochi casi come questo, infatti, la controparte “negativa” diviene funzionale al maggior risalto delle brevi sequenze (para)musicali, propedeutica alla percezione delle stesse come epifanie improvvise, minute rivelazioni racchiuse in e scaturite da un’attesa obbligata.

Sassofoni, chitarra elettrica e percussioni si intrecciano all’unisono nel dar forma ad armonie blande, diafane coesistenze acustiche la cui vibrante fissità risulta più affine a room tones che a coscienti concertazioni strumentali. D’altro canto, chiunque abbia una certa familiarità con le derive più intransigenti della musica spontanea saprà che il mestiere della semplicità è in verità il più arduo a esercitarsi: performance di una tale studiata intangibilità non possono prodursi se non da un’intesa simbiotica tra le parti, riflesso di un’estrema abnegazione nei confronti del suono in quanto entità preesistente alle forme di vita in grado di recepirla.

Ben oltre le varie forme della musica d’ambiente si profila così la musica come ambiente: un sussulto uditivo che ricalca lo spazio mancando di occuparlo, e con ciò compone la poesia sonora più delicata e ineffabile che si possa immaginare. Le miniature acustiche dell’Ensemble Ektòs sono il prezioso distillato di un’arte per l’arte che, nonostante tutto, conserva intatto il nucleo di profonda sensibilità umana che ha reso possibile il suo discreto manifestarsi.

Personnel: Michał Biel, soprano saxophone, baritone saxophone; Cosimo Fiaschi, soprano saxophone; Francesco Toninelli, percussion, objects; Hein Westgaard, electric guitar

Over the last few decades, the ways of musical understatement have branched out and radicalized not only on the aesthetic front but also on the conceptual one: once the dialogue with silence (or rather, with its appearance) was explored, some wondered if it was possible to pursue the utopia of an “authorial disappearance”, that is the manifestation of an unsolicited, almost inadvertent sound reality. And it’s not a question of carrying out a sterile act of modesty, but rather of crossing the extreme limits of creative intention and probing the hypothetical liminal threshold between natural and artificial sound. Perhaps, hidden within this interstice, lies the “music to come” theorized by François Bonnet, emptied of all personalism to give itself in its uncorrupted essence.

Formed in Copenhagen in 2019, the Ensemble Ektòs project would seem to have been purposely conceived to meet the rigorous curatorial line of 901 Editions, and indeed it sanctions a topical landmark for the label: the conquest of a minimal yet never entirely null degree of expressiveness, the pregnant voice of a presence/absence in fragile balance with the surrounding space. Following a dynamics not dissimilar to Jürg Frey’s “l’âme est sans retenue I”, Semèia Kài Tèrata [‘signs and wonders’] alternates with absolute precision sixty seconds of limited sound action and as many of total silence generated digitally in the studio – the only instance in which it may actually exist.
However, it would be wrong to consider the album only half recorded: in few cases like this, in fact, the “negative” counterpart becomes functional to the greater prominence of the short (para)musical sequences, preparatory to the perception of the same as sudden epiphanies, minute revelations enclosed in and stemming from a mandatory wait.

Saxophones, electric guitar and percussion intertwine in unison to shape mild harmonies, diaphanous acoustic coexistences whose vibrant fixity is more akin to room tones than to conscious instrumental concertations. On the other hand, anyone who is familiar with the most intransigent drifts of spontaneous music will know that the craft of simplicity is actually the most difficult to practice: performances of such studied intangibility cannot come to be except through a symbiotic chemistry between the parts, the reflection of an extreme abnegation towards sound as an entity that pre-exists the forms of life capable of receiving it.

Far beyond the various forms of environmental music thus outlines itself a music as environment: an aural shudder tracing the space without occupying it, in so doing composing the most delicate and ineffable sound poetry one could possibly imagine. Ektòs Ensemble’s acoustic miniatures are the precious distillation of an art for art’s sake which, despite everything, preserves intact the core of profound human sensitivity that made possible its discreet manifestation.