ECM, 2022
free impro

(ENGLISH TEXT BELOW)

È da quando l’arte non ha avuto più nulla da dire che le cose si sono fatte veramente interessanti: l’equilibrio compositivo e l’ideale apollineo dell’espressione umana sono stati soppiantati dal disordine e dalla tensione formale, i nervi del gesto creativo si sono scoperti e liberati dal fardello della significazione e della rappresentazione. Un frastagliato fil rouge attraversa la seconda metà del Novecento sino al nostro presente, ed è quello della più autentica e incompromessa libertà: tra le sue fibre, silenzioso, si dipana il singolare percorso di maturazione artistica del contrabbassista statunitense Barre Phillips, esule volontario nel sud della Francia sin dai primi anni 70.

Il suo buen retiro europeo – lasciato alle spalle soltanto agli inizi di quest’anno – ha certamente contribuito a forgiare un’estetica discreta, assai più spesso incline all’introspezione che non all’impeto improvvisativo: ma lo spostamento geografico non gli ha impedito di intrattenere, nel corso del tempo, intensi dialoghi con strumentisti di ogni nazionalità e generazione, complice la fondazione del Centre Européen Pour l’Improvisation (CEPI) nel 2015 su iniziativa dello stesso Phillips.
Dichiarata conclusa la propria avventura solista con End to End (2018), il decano del basso ritorna tra le file della monacense ECM con un distillato delle sessioni sperimentali al fianco di György Kurtág junior, figlio del longevo e prolifico maestro dell’avanguardia ungherese: anch’egli emigrato in Francia per studiare all’IRCAM di Parigi, ha fatto del sintetizzatore digitale il suo strumento d’elezione, prendendo parte attiva nell’associazione fondata da Phillips – nonché nell’ensemble The Cepi Nomads – per poi assumerne la direzione.

In questi concisi frammenti è dapprima l’istinto a guidare i due musicisti verso un determinato suono, mentre è l’ingegno a suggerire la perseveranza o la deviazione rispetto all’effetto sortito. Tra scambi così immediati non c’è molto spazio per i silenzi, se non quelli che regnano prima, dopo e tutt’attorno alla loro misurata azione creatrice, coadiuvata dalla produzione tipicamente “atmosferica” di Manfred Eicher che ne accentua le minute risonanze.
Dalla “tavola acustica” di Phillips affiorano armonici naturali, punteggiature ‘col legno’ e lamenti ipertonali, permutazioni di un linguaggio ermetico che ricerca la sua ragion d’essere solamente in sé stesso, e trovandola può così stabilire un pur difficile contatto con un elemento estraneo, di segno opposto ma parimenti sfuggente e autoriferito.
Alquanto rispettosi del navigato sodale, i subdoli interventi di Kurtág permeano nondimeno l’intera stereofonia con schegge e campiture aliene, eco di percussioni esotiche e sound design da radiodramma sci-fi di puro artificio, eredità difforme e plurale degli studi elettronici che videro nascere l’acusmatica e la corrente kosmische.

Talmente elusivo e improbabile da apparire irreale, Face à Face è il tipico incontro tra energie controllate ma risolute, in grado di plasmare l’indeterminazione ricavando pietre grezze dalla più drastica tabula rasa espressiva. Non resta altro che l’anima a rivestire una simile nudità sonora, quell’essenza ineffabile che non è dato di raggiungere con la premeditazione bensì unicamente nella rinuncia a ogni difesa, fronteggiando lo sconfinato ignoto che permane al di là della musica codificata.

It is since art has had nothing more to say that things have become really interesting: the compositional balance and the apollinean ideal of human expression have been supplanted by disorder and formal tension, the nerves of the creative gesture uncovered and freed themselves from the burden of signification and representation. A jagged fil rouge runs through the second half of the 20th century up to our present, being that of the most authentic and uncompromised freedom: among its fibers, silently, unravels the singular path of artistic maturation of US double bass player Barre Phillips, since the early seventies an exile of his own will in the south of France.

His European retreat – left behind at the beginning of this year – has certainly contributed to forging a discreet aesthetics, much more often inclined to introspection than to improvisational impetus: but the geographical relocation has not prevented him from entertaining, in the course of time, intense dialogues with instrumentalists of all nationalities and generations, especially after the founding of the Centre Européen Pour l’Improvisation (CEPI) in 2015 at the initiative of Phillips himself.
Having brought to closure his solo adventure with End to End (2018), the bass doyen returns to the ranks of Munich’s ECM with a distillation of the experimental sessions alongside György Kurtág junior, son of the long-lived and prolific master of Hungarian avant-garde: he, too, emigrated to France to study at the IRCAM in Paris, making the digital synthesizer his instrument of choice and taking an active part in the association founded by Phillips – as well as in the Cepi Nomads ensemble – to then take over as its director.

In these concise fragments it is first instinct that guides the two musicians towards a certain sound, while it is ingenuity that suggests perseverance or deviation from the resulting effect. Between such immediate exchanges there’s not much space for silences, if not those reigning before, after and all around their measured creative action, supported by Manfred Eicher’s typically “atmospheric” production which accentuates their minute resonances.
From Phillips’ “acoustic board” emerge natural harmonics, col legno punctuations and overtonal laments, permutations of a hermetic language that seeks its raison d’etre only in itself, and once found it can thus establish an albeit difficult contact with an extraneous element, of opposite sign but equally shifty and self-referred.
Quite respectful of his seasoned peer, Kurtág’s subtle interventions nonetheless permeate the entire stereophony with alien shards and textures, echoes of exotic percussion and sci-fi-radio-drama sound designs of pure artifice, the uneven and manifold legacy of the electronic studios that saw the birth of acousmatics and of the kosmische current.

So elusive and unlikely as to appear unreal, Face à Face is the typical encounter of controlled but resolute energies, able to shape indeterminacy by unearthing rough stones from the most drastic clean slate of expression. All but the soul remains to cover such nudity of sound, that ineffable essence which cannot be reached through premeditation but only in giving up any defenses, facing the boundless unknown that lies beyond codified music.