Francisco López – untitled #346

Vernalis, 2020
sound art, field recordings

(ENGLISH TEXT BELOW)

La creazione dell’etichetta Vernalis non è che l’ultimo tassello, in ordine temporale, di un percorso stoicamente votato al fare e legittimare l’arte sonora al pari delle altre e più storicizzate discipline. Sotto questo nuovo marchio converge la visione di tre protagonisti italiani: Enrico Coniglio (già responsabile della all-digital Galaverna), Nicola Di Croce e Leandro Pisano, che sin dai primi anni Duemila incarnano lo studio e la pratica di un’ecologia sonora atta a mappare, documentare e “riconfigurare” i più o meno percepibili fenomeni acustici del reale. 
È un rito di buon auspicio, oltre che un gesto di riverenza, inaugurare l’attività di Vernalis con un’opera inedita del collega spagnolo Francisco López, illustre teorico del suono e tra i più visionari manipolatori di field recordings al mondo. Sinora mai apparso su supporto discografico, “untitled #346” (2016) consta di cd e libretto contenuti in una busta isotermica, edizione limitata in collaborazione con Krisis Publishing.


Parte di un’eterogenea serie di opere catalogate dagli anni ottanta a oggi, questa recente traccia unica nasce dietro commissione della Fundación Juan March di Madrid, nell’ambito della mostra “Escuchar con los ojos. Arte sonoro en España, 1961-2016”: una retrospettiva di enorme importanza per questo ambito espressivo, che tra decine di pionieri e nuovi esponenti includeva Juan Hidalgo, Horacio Vaggione, María de Alvear, Esplendor Geométrico e il collettivo Zaj. Il contributo di López è di natura site-specific, in quanto si basa su campionamenti effettuati nell’edificio della Fondazione: un esercizio al contempo meta- e anti-descrittivo entro il quale sono declinati alcuni aspetti centrali della poetica del sound artist spagnolo.

Sia in sede privata che dal vivo, la modalità di fruizione ideale suggerita da López è notoriamente quella del blindfold listening: estrudere gli stimoli visivi è parte essenziale di un’esperienza priva di condizionamenti e distrazioni esterne a essa; solo così può infatti dispiegarsi la potenza suggestiva delle drammaturgie astratte di López, “disorientamenti” sonori che intrattengono soltanto un minimo contatto con la realtà riconoscibile, lasciando amplissimo margine di sconfinamento nel dominio del possibile e dell’immaginifico, come se la finestra del processo creativo rimanesse socchiusa a nostro favore.

Qui come altrove, la pratica (ri)compositiva di López non si affida a un denso e caotico collagismo, ma tende piuttosto a organizzarsi per singole sequenze rese poi inscindibili in un flusso non contaminato da note esplicative. Qualcosa di vagamente paragonabile alle libere giustapposizioni visive del primo Bill Viola, benché López non si rifugi in un criptico simbolismo entro il quale si cela la chiave dell’originario disegno d’insieme, e anzi si produca in prospettive deformanti, distorsioni e crasi acustiche volte a occultare la sorgente dei propri materiali.
Non è previsto né richiesto, insomma, un trait d’union che giustifichi l’accostamento tra sfregamenti o scricchiolii di elementi gommosi e intermezzi lowercase al confine con l’inudibile – istanze precedentemente indagate e raccolte in Presque Tout (Quiet Pieces 1993-2013) –, clangori, room tones, droni accidentali e ruvidi pattern ritmici da civiltà delle macchine, echi e frammenti sclerotizzati di uno scenario industriale piegato alle logiche di una musicalità “obliqua”, radicalmente fenomenica.

Non ci addentreremo oltre nella disamina dei suoni incontrati poiché, oltre a fornire un’interpretazione del tutto ipotetica e soggettiva, si perderebbe il senso stesso di un’arte che si dà sempre e volutamente in una forma arcana, tale persino da scoraggiare i normali meccanismi di decodifica cui la nostra percezione ci richiama. Ancora una volta, oscurità e oblio si riveleranno i più efficaci strumenti a vostra disposizione per affrontare questa nuova, imperscrutabile trasfigurazione uditiva.


The birth of the Vernalis label is but the last segment, chronologically, of a path stoically devoted to making and legitimizing sound art on a par with the other and more historicized disciplines. Under this new brand converges the vision of three Italian protagonists: Enrico Coniglio (already managing the all-digital Galaverna), Nicola Di Croce and Leandro Pisano, all of whom since the early 2000s have embodied the study and practice of a sound ecology aimed at mapping, documenting and “reconfiguring” the more or less perceptible acoustic phenomena of reality. 
It is an auspicious rite, as well as a sign of reverence, to inaugurate Vernalis’ activity with an unpublished work by their Spanish colleague Francisco López, an illustrious sound theorist and one of the world’s most visionary manipulators of field recordings. Never before released on record, “untitled # 346” (2016) consists of a CD and booklet housed in an isothermic bag, a limited edition in collaboration with Krisis Publishing.

Part of a diverse series of works cataloged from the eighties to the present, this recent single track was commissioned by the Fundación Juan March in Madrid, as part of the exhibition “Escuchar con los ojos. Arte sonoro en España, 1961-2016” [‘Listening with the Eyes. Sound Art in Spain, 1961-2016’]: a retrospective of huge importance for this expressive area, which among dozens of pioneers and new exponents included Juan Hidalgo, Horacio Vaggione, María de Alvear, Esplendor Geométrico and the Zaj collective. López’s contribution is of a site-specific nature, being based on samples collected in the Foundation’s building: an exercise that is meta- and anti-descriptive at the same time, within which are declined a few central aspects of the Spanish sound artist’s poetics.

Both in private and in a live setting, the ideal mode of fruition suggested by López is famously that of blindfold listening: extruding visual stimuli is an essential part of an experience devoid of constraints and distractions external to it; only in this way can the suggestive power of López’s abstract dramaturgies unfold, sonic “disorientations” that entertain only a minimum contact with recognizable reality, leaving ample margins of encroachment into the domain of the possible and the imaginative, as if the window of the creative process remained ajar in our favor.

Here as elsewhere, López’s (re)compositional practice does not rely on a dense and chaotic collagism, but rather tends to organize itself by individual sequences subsequently made indissociable in a flow untainted by explanatory notes. Something vaguely comparable to the free visual associations of early Bill Viola, although López doesn’t take refuge in a cryptic symbolism within which the key to the original overall design is hidden, but rather produces himself in deforming perspectives, acoustic distortions and crases in order to conceal the source of his materials.
In short, there’s no need for a trait d’union that may explain the juxtaposition between frictions or creakings of rubbery elements and lowercase interludes bordering on the inaudible – instances previously investigated and collected on Presque Tout (Quiet Pieces 1993-2013) –, clangours, room tones, accidental drones and rough rhythmic patterns from the age of machines, echoes and sclerotized fragments of an industrial scenario bent to the logic of an “oblique”, radically phenomenal musicality.

We won’t delve further into the examination of the sounds encountered here, since, besides providing a purely hypothetical and subjective interpretation, what would be lost is the very meaning of an art that gives itself always and deliberately in an arcane form, such as even to discourage the normal decoding mechanisms to which our perception calls us. Once again, darkness and oblivion will prove to be the most effective tools at your disposal to confront this new, inscrutable auditory transfiguration.

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