Ø ‎– Kiteet

Sähkö, 2020
glitch, reductionism

(ENGLISH TEXT BELOW)

Scavare negli archivi non dovrebbe mai essere una manovra di ripiego, quanto piuttosto l’opportunità di rintracciare storie perdute, incomplete o dimenticate attraverso un’appassionata ricostruzione filologica. Dopo una sequenza di album postumi (Reat, Lydspor One & Two, The Heat Equation) volti a chiudere il cerchio sulle ultime produzioni del compianto Mika Vainio – opere autonome e commissioni che ne attestano ulteriormente la statura artistica – valeva senz’altro la pena di riportare alla luce un capitolo emblematico della sua carriera agli esordi, prova straordinariamente precoce del suo distintivo immaginario sonoro. Kiteet [‘Cristalli’] ci racconta di un’epoca in cui le diverse traiettorie dell’utopia e dell’avanguardia estetica potevano ancora incrociarsi fertilmente, dando vita a progetti multidisciplinari innovativi fondati su una visione comune dall’assoluta coerenza concettuale.


Siamo nel pieno degli anni 90: i decenni precedenti avevano già visto la Finlandia eccellere nel campo dell’architettura e del design grazie a maestri quali Alvar Aalto, Eero Saarinen e Timo Sarpaneva; nel 1997, invece, al Salone Internazionale del Mobile di Milano si presenta il rampante llkka Suppanen con il suo collettivo Snowcrash, il cui nome si presume fosse ispirato al romanzo cyberpunk di Neal Stephenson del 1992.
Attivi in patria da alcuni anni prima, i quattro designer scandinavi esponevano elementi d’arredo e oggetti proiettati a un futuro prossimo tutt’altro che implausibile, dove il comfort domestico si coniugava integralmente al crescente utilizzo di apparecchi audiovisivi e informatici. In seguito a questo debutto Suppanen stabilirà un legame con la capitale della moda italiana che permane sino ai giorni nostri, oltre alla recente assegnazione del Kaj Franck Design Prize e a un’imminente mostra antologica al Nationalmuseum di Stoccolma.

Al tempo della storica sortita pubblica di Snowcrash il talentuoso Vainio aveva già superato la gavetta sia come solista – sotto diversi pseudonimi tra i quali il più ricorrente rimarrà Ø – che come membro dei leggendari Pan(a)sonic, al fianco di Ilpo Väisänen e del terzo uscente Sami Salo. Ma è al suddetto che viene richiesto di confezionare una sorta di corollario sonoro alle creazioni del collettivo: riunendo materiali incisi tra il 1993 e il 1995, Vainio compila un cd di 34 minuti che sarà distribuito ai visitatori del Salone, a titolo promozionale, in qualche centinaio di copie.
Nella traccia unica dell’edizione originale trovavano spazio alcuni brani precedentemente inclusi negli album Metri (1994) e Olento (1996): ed è la stessa longeva etichetta Sähkö, la quale Vainio contribuì a fondare e dirigere, che per mano del socio Tommi Grönlund dà oggi alle stampe l’intera serie di composizioni associate al padiglione di Snowcrash, con il mastering nuovamente a cura dell’irrequieto noiser britannico Russell Haswell.

Radicalmente in controtendenza rispetto agli stilemi elettronici predominanti in quegli anni, il tratto algido e incompromissorio del guru finlandese rispecchia fedelmente l’essenzialità formale degli oggetti di design ma rinuncia ad assecondarne la tensione avveniristica con banali tessiture atmosferiche: il suo potere evocativo, paradossalmente, si basa su un drastico processo di riduzione e astrazione vòlto a dissimulare quanto più possibile ogni volontà espressiva, e con essa un pathos che non sembra concernere l’avanzata della civiltà tecnologica.

La prima parte dell’inedita title track si dipana in un alfabeto Morse di impulsi acuti, forature luminose su un piano acromatico ove possono inscriversi soltanto scomposte geometrie piane. L’intermezzo “C-J” e “Halli”, invece, ricadono a pieno diritto nella sfera del microsound, con frequenze puntiformi che solo nell’isolamento delle cuffie riescono a lasciare una debole traccia del loro passaggio.Mesti sussulti dall’ignoto spazio profondo si alternano in forma di bordoni dagli estremi oscillanti (“Radio”), strati tangenti di onde corte (“Syväys”) e ottusi pattern ritmici (“Kaskaat”), appunti sparsi di una progettualità che in seguito avrebbe prodotto alcune tra le pagine più rigorose e pregnanti dell’elettronica sperimentale.
La chiusura del cerchio, relativamente più dinamica e variegata, assomma le declinazioni fin qui esposte divagando in libertà tra le pieghe della più ermetica sintassi glitch e gli echi sbiaditi di una synth music neutra, disincarnata, del tutto priva di referenti tangibili al di fuori di se stessa.

Esautorata da qualsiasi funzione descrittiva, quella di Mika Vainio si configura come la forma più autentica di design sonoro, fungendo da prototipo per gli sviluppi della minimal techno a venire. È la profezia artistica di quel simbolo ‘null’, l’insieme vuoto della significazione che preannuncia la virtualizzazione dell’esistenza nel terzo millennio.


Digging the archives should never be a makeshift maneuver, but rather an opportunity to track down lost, incomplete or forgotten stories through a passionate philological reconstruction. After a sequence of posthumous albums (Reat, Lydspor One & Two, The Heat Equation) aimed at closing the circle on the latest productions of the late Mika Vainio – autonomous and commissioned works that further attest to his artistic stature – it was certainly worth bringing to light an emblematic chapter of his early career, extraordinarily precocious proof of his distinctive sonic imagery. Kiteet [‘Crystals’] tells us of an era in which the different trajectories of utopia and the aesthetic avant-garde could still fruitfully intersect, giving life to innovative multidisciplinary projects based on a common vision of absolute conceptual coherence.

We are in the mid-90s: the previous decades had already seen Finland excel in the fields of architecture and design thanks to masters such as Alvar Aalto, Eero Saarinen and Timo Sarpaneva; instead, presenting himself at the 1997 Milan Furniture Fair is the rampant llkka Suppanen with his collective Snowcrash, whose name was presumably inspired by Neal Stephenson’s 1992 cyberpunk novel.
Active in their homeland for a few years earlier, the four Scandinavian designers exhibited furnishing elements and objects projected towards a far from implausible future, where domestic comfort was in perfect harmony with the growing use of audiovisual and computational equipment. Following this debut, Suppanen would go on establishing a bond with the Italian fashion capital that remains to this day, in addition to the recent awarding of the Kaj Franck Design Prize and an upcoming retrospective exhibition at the Nationalmuseum in Stockholm.

At the time of Snowcrash’s historic public sortie, the talented Vainio had already laid his groundwork both as a soloist – under various pseudonyms among which the most recurrent would remain Ø – and as a member of the legendary Pan(a)sonic, alongside Ilpo Väisänen and the outgoing third Sami Salo. But it’s the aforementioned who gets asked to produce a sort of sound corollary to the collective’s creations: bringing together materials recorded between 1993 and 1995, Vainio compiles a 34-minute CD that will be distributed to the visitors of the Fair, as a promotional item, in a few hundred copies.
Inside the single track of the original edition were some pieces previously included in the albums Metri (1994) and Olento (1996): and it’s the same long-lived Sähkö label, which Vainio co-founded and directed with his surviving partner Tommi Grönlund, that now releases the entire series of compositions associated with the Snowcrash pavilion, once again under the mastering of the restless British noiser Russell Haswell.

Radically in contrast with the electronic stylemes prevalent in those years, the algid and uncompromising stroke of the Finnish guru faithfully reflects the formal essentiality of the design objects but refuses to accommodate their futuristic tension with banal atmospheric textures: its evocative power, paradoxically, relies on a drastic process of reduction and abstraction aimed at concealing as much as possible any expressive will, and with it a pathos that doesn’t seem to pertain to the advance of technological civilization.

The first part of the unpublished title track unfolds in a Morse alphabet of acute impulses, luminous perforations on an achromatic plane where only deconstructed flat geometries can be inscribed. The interlude “C-J” and “Halli”, on the other hand, rightfully belong to the sphere of microsound, with punctiform frequencies that only with the isolation of the headphones may leave a faint trace of their passage.
Subdued jolts from the unknown deep space alternate in the form of drones with scalloped edges (“Radio”), tangent layers of short waves (“Syväys”) and obtuse rhythmic patterns (“Kaskaat”), scattered notes of a projectuality that would later produce some of the most rigorous and poignant pages of experimental electronics.
Relatively more dynamic and diversified, the closing of the circle combines the declinations showcased up to this point, wandering freely between the folds of the most hermetic glitch syntax and the faded echoes of a neutral, disembodied synth music, completely devoid of tangible referents outside of itself.

Exempted from any descriptive function, Mika Vainio’s attests itself as the most authentic form of sound design, serving as a prototype for the developments of minimal techno to come. It’s the artistic prophecy of that ‘null’ symbol, the empty set of signification that foretells the virtualization of existence in the third millennium.

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