Shelter Press, 2022
electroacoustic

(ENGLISH TEXT BELOW)
Curioso pensare che all’alba della registrazione audio il nastro magnetico fosse tra i pochi sinonimi tecnologici di “memoria” e perpetuazione, mentre oggi, a fronte della transizione digitale, appare come materia del tutto obsoleta, fragile e a rischio di estinzione. Un concept reso quantomai pregnante dal ventennale capolavoro di William Basinski, ma che di lì in poi ha visto gradualmente risorgere, come la fenice dalle ceneri, il supporto analogico in quanto strumento di sperimentazione formale e, per certi versi, cifra poetica. In questo solco – tanto malagevole quanto ricco di potenziale inespresso – il sound artist palermitano Valerio Tricoli si è da subito distinto per il suo integralismo e per la coerenza del suo immaginario sinistramente evocativo.
Pubblicati sotto l’egida dell’influente etichetta berlinese PAN, i precedenti lavori solisti dimostravano l’assoluta padronanza di Tricoli nel generare interi mondi di natura elettroacustica, dapprima scuramente atmosferici, presaghi di orrori celati alla coscienza (Miseri Lares, 2014), poi convulsi, saturanti e votati all’autocombustione (Clonic Earth, 2016). Ma il passaggio alla Shelter Press di Félicia Atkinson è già di per sé indice di un’opera che si rivelerà ancor più ermetica e subliminale del consueto, strenuamente ripiegata su e alimentata dalle proprie morbose dinamiche ricorsive.
Volendo parafrasare David Foster Wallace, ‘ogni storia su nastro Revox è una storia di fantasmi’, un sogno senza sonno lungo il quale affiorano costantemente presenze estranee in “armonioso conflitto” tra loro: che si tratti di incontri serendipici o di fonti ricercate con determinazione, all’autore la scelta su quali di esse evocare e in che forma drammatizzarne la forzosa coesistenza.
Come sempre, in Say Goodbye to the Wind l’impronta stilistica di Tricoli ci riporta all’ideale primevo di “acusmatica”, cioè all’occultazione della scaturigine sonora in favore di un ascolto che non risulti condizionato da ulteriori percezioni sensoriali. Ma per certi versi dà un anche un nuovo, ulteriore significato al termine musique concrète: non più tale in virtù dei simulacri del reale che accoglie tra i suoi solchi – per poi trasfigurarli irreversibilmente –, bensì della tangibilità materica del supporto che, di fatto sempre presente, si manifesta come parte integrante e inscindibile del tessuto sonoro.
Oltre le componenti oggettive regna il dilemma della soggettività, radicato nel paradosso che lega dimensione immanente e transeunte: quale collocazione stabilire per, e dunque a quale destino consegnare, la fonte impermanente? Nonostante i loop e i rovesciamenti artificiali, nel flusso del tempo (riverrun) non si dà alcun ritorno, tutto trascorre senza offrire risposte né porre vere domande. Ecco allora il lamento di χρόνος, il requiem perpetuo che queste tracce non possono mancare di intonare nel viaggio che le conduce alla dissoluzione. Soltanto in extremis, a un minuto dal silenzio, il canto di una musa pietosa dirada le brume echeggianti illudendoci, almeno per qualche istante, che il vento della Storia si plachi.
Circa sei anni di gestazione, tra il 2016 e il 2021, per portare a compimento il suo esito artistico più lucido e controllato: attraverso una pratica in perfetto equilibrio tra cesello e istintività, Valerio Tricoli rimarca come “solo col tempo si conquista il tempo” (T. S. Eliot), e come attraverso l’arte il passato possa sfidare l’impermanenza per rivivere in forma di ricordo collettivo.

It is quite odd to think that, at the dawn of audio recording, the magnetic tape was among the few technological synonyms of “memory” and perpetuation, while today, in the face of the digital transition, it appears as an entirely obsolete, fragile material on the brink of extinction. A concept made all the more pregnant by William Basinski’s twenty-year-old masterpiece (The Disintegration Loops), but which from then on has gradually seen the analogue medium resurrect, like the phoenix from the ashes, as a tool for formal experimentation and, to some extent, a poetic cipher. In this sphere – as uncomfortable as it is rich in unexpressed potential – Palermo-born sound artist Valerio Tricoli immediately stood out for his integralism and the consistency of his sinisterly evocative imagery.
Published under the aegis of the influential Berlin-based label PAN, Tricoli’s previous solo works demonstrated his absolute mastery in generating entire worlds of an electroacoustic nature, at first darkly atmospheric, foreboding horrors concealed from consciousness (Miseri Lares, 2014), then convulsive, saturating and bound to self-combust (Clonic Earth, 2016). But the transition to Félicia Atkinson’s Shelter Press is in itself indicative of a work that will prove even more hermetic and subliminal than usual, strenuously bent unto itself and fuelled by its own morbidly recursive dynamics.
To paraphrase David Foster Wallace, ‘every story on Revox tape is a ghost story’, a dream without sleep along which extraneous presences in “harmonious conflict” with each other constantly surface: whether serendipitous encounters or resolutely sought-after sources, it is up to the author to choose which of them to evoke and in what form to dramatise their forced coexistence.
As always, on Say Goodbye to the Wind Tricoli’s stylistic imprint takes us back to the primeval ideal of ‘acousmatics’, that is, the concealment of the sound source in favour of a listening unconditioned by further sensory perceptions. But in certain respects it also gives a new, ulterior meaning to the term musique concrète: no longer such by virtue of the simulacra of reality that it accommodates within its grooves – to then transfigure them irreversibly –, but rather of the material tangibility of the medium that, indeed always present, manifests itself as an integral and inseparable part of the sound fabric.
Beyond the objective components reigns the dilemma of subjectivity, rooted in the paradox that links the dimensions of immanence and transience: where to place, and thus to what fate to consign, the impermanent source? Despite the loops and artificial reversals, in the flow of time (riverrun) there is no return, everything passes without offering answers nor posing actual questions. Here, then, is the lament of χρόνος, the perpetual requiem that these tracks (or, rather, traces) cannot fail to intone on the journey that leads them to dissolution. Only in extremis, a minute away from silence, does the song of a pitiful muse disperse the echoing mists, illuding us, at least for a few moments, that the wind of History might after all subside.
Approximately six years of gestation, between 2016 and 2021, to accomplish his most lucid and controlled artistic outcome: through a practice in perfect balance between chiselling and instinctiveness, Valerio Tricoli emphasises how “only through time time is conquered” (T. S. Eliot), and how through art the past can defy impermanence to live again in the form of collective memory.