Klangforum Wien
Sylvain Cambreling • Sian Edwards • Johannes Kalitzke • Emilio Pomàrico
Kairos, 2020
contemporary classical

(ENGLISH TEXT BELOW)
Scetticismo e leggende metropolitane hanno attraversato la vita del conte Giacinto Francesco Maria Scelsi, ma anche amicizie e collaborazioni con musicisti illustri, primi testimoni di una rivoluzione espressiva che oggi sarebbe decisamente più arduo mettere in discussione. Osannato in tempi non sospetti dai membri dei gruppi sperimentali Nuova Consonanza e Musica Elettronica Viva (MEV), nel tempo Scelsi è divenuto un riferimento assoluto nell’ambito della musica drone e microtonale, nonché il dedicatario di un festival monografico a Basilea (tenutosi dal 2015 per sei edizioni consecutive).
L’apertura degli archivi documentali da parte della Fondazione Isabella Scelsi ha permesso di risalire alla sorgente dell’ispirazione del maestro romano d’adozione: centinaia di nastri con registrazioni al pianoforte o all’ondiola, spunti primordiali e spontanei sui quali fondare la successiva elaborazione delle partiture, a opera di altri fidati compositori con maggior preparazione accademica – su tutti, notoriamente, Vieri Tosatti.
Anche la discografia ufficiale ha visto Scelsi uscire gradualmente dall’ombra, dalle prime pubblicazioni a marchio Ananda e Accord sino all’edizione in dieci volumi della Mode Records, sorta di definitiva consacrazione d’oltreoceano. Non bisogna tuttavia dimenticare il contributo qualitativamente eccelso della viennese Kairos Music, che sin dai primi anni di attività si rese protagonista di due album che rappresentano degli ideali compendi dell’opera cameristica di Scelsi: già allora i musicisti erano quelli del pluripremiato ensemble Klangforum Wien, formazione che oggi celebra l’eredità scelsiana con otto brani recenti (commissionati in prima persona e datati tra il 2012 e il 2015) ispirati in vario modo alla sua estetica potentemente visionaria.
In virtù dei prestigiosi compositori coinvolti nel progetto, il doppio cd Scelsi Revisited non poteva di certo essere una raccolta di mere imitazioni: se infatti il maestro italiano era lo strenuo sostenitore di un’attività creativa in stato di “lucida passività”, attraverso il quale captare messaggi a lui provenienti dal cosmo, gli autori qui riuniti prendono invece di petto le tracce originali di quell’ispirazione mistica e ne fanno l’innesco di un’energia creativa multiforme e, spesso, più nettamente perturbante.

Ne siano l’esempio i primi due brani degli svizzeri Michael Pelzel e Michel Roth, che invece di farsi strada da una bruma indistinta si rivelano con attacchi improvvisi, alimentando con risolutezza una spinta propulsiva che arriva a toccare apici drammatici vertiginosi. Le “Sculture di suono” (2014) di Michael Pelzel, in particolare, si sviluppano per accumulazioni volumetriche intermittenti nel tentativo di ottenere “sonorità d’organo con l’ensemble”, che ha però la possibilità di “dissolvere ‘elasticamente’” la sua molteplicità timbrica, al punto che “ogni suono sembra procedere verso il seguente senza soluzione di continuità”. Tale approccio strumentale fa il paio con una scrittura dal tratto marcato e finanche sensazionalista, come un episodio orchestrale di Penderecki con le tonalità vivide e la direzione furiosa di un Leonard Bernstein: un’elevazione di masse sonore che nell’ultima sezione sembrano rovinare inesorabilmente al suolo, in un vortice spiraliforme di glissati discendenti e solenni progressioni di ottoni.
Il primo cd della raccolta include inoltre le opere di due maestri già da tempo affermati, entrambi affascinati dai materiali d’archivio a tal punto da includerli nelle loro partiture. Si rifà alla qualità onirica delle orchestrazioni di Scelsi, che ebbe l’onore di conoscere, il francese Tristan Murail, il quale in “Un sogno” plasma un inquieto stato di sospensione la cui tensione risulta in parte trattenuta ma pressoché costante. Anch’esso solcato da gravosi moti discendenti, con certi echi tardo-romantici affidate alle singole voci degli archi, nella seconda metà il brano sembra quasi teso a opacizzarsi in una misterica rarefazione che dissolve l’acuto ostinato dei violini per fare spazio alla riproduzione dello spettrale nastro di Scelsi. Murail ha selezionato una delle improvvisazioni inedite all’ondiola, procedendo a una sua sintesi elettronica con le odierne tecniche digitali, “per farlo sbocciare e fiorire, al fine di costruire su di esso nuovi strati di elettronica e trame strumentali e al contempo, magari, lasciare che talvolta emerga nella sua originaria semplicità”.
Così anche Georg Friedrich Haas – ormai storicamente nel repertorio del Klangforum Wien – si affida al fascino auratico delle registrazioni scelsiane per il suo “Introduktion und Transsonation” (2012): è il suo personale tentativo di risalire, come fece il pioniere italiano, a una percezione sonora d’insieme che non risulti influenzata dai limiti della notazione su pentagramma, al fine di recuperare tutto il carico di “informazioni” acustiche che vanno solitamente perdute nella trascrizione. Haas porta all’estremo gli acuti dei fiati e fa ribollire gli ottoni in un tumulto profondo, per poi sfociare in squillanti fanfare che come macchie di colore puro svettano sulla stratificata tela sonora. Un’introduzione che, come da titolo, prelude a una “transonanza”, ovvero l’inattesa chiusura in un sussurro collettivo presago di una resurrezione che, tra falsi allarmi intermedi, viene a lungo minacciata ma mai raggiunta, rimestando in piano e pianissimo parimenti evocativi.

Ex contrabbassista del Klangforum, Uli Fussenegger è qui l’unico a far parte del mondo accademico come di quello dell’improvvisazione elettroacustica. Già pubblicata da Kairos nel 2018, nel secondo cd viene riproposta la sua traccia estesa “San Teodoro 8” (2013), titolo che riprende l’indirizzo della dimora romana di Scelsi, oggi sede della Fondazione. La sezione principale, di circa mezz’ora, può considerarsi come un devoto lavoro di restauro elettronico: l’accostamento in forme monodiche o a due voci dei nastri originali non ne alterano la struttura temporale o le altezze, laddove l’autore austriaco ha operato soltanto una riduzione del rumore e un aggiustamento nella dinamica, “così da non toccar[n]e la speciale patina”.
Alle oscillazioni dell’ondiola si allinea poi, negli ultimi dodici minuti, un quartetto strumentale formato dallo stesso Fussenegger con Ernesto Molinari (clarinetto contrabbasso), Martin Siewert (chitarra elettrica, elettronica) e Michael Svoboda (trombone): complice l’amplificazione, la loro è una tormentata sottolineatura del lamento cosmico di Scelsi, un “grido” espressionista con inflessioni tra il serio e il faceto, tra un fugace abbandono estatico e la lucidità di una fedele emulazione sonora.
Non tragga in inganno, invece, l’affettuoso gioco di parole del ferrarese Nicola Sani: il tributo di “Gimme Scelsi” (2013) guarda con nostalgia all’epoca in cui i protagonisti e il pubblico dell’avanguardia italiana e internazionale scoprivano la figura enigmatica del conte, magari negli stessi anni in cui gli Stones facevano le loro prime fortunate incursioni dal vivo nella ‘città eterna’; anni in cui la cultura rock e quella sperimentale potevano più facilmente convivere nel vortice dei movimenti giovanili – l’utopia di un ‘68 che soltanto nella musica, forse, ha mantenuto qualche promessa per il futuro.
Un organico di nove strumenti a fiato distribuiti nello spazio caratterizza “à tue-tête” di Fabien Lévy, “un’indagine giocosa, quasi umoristica, sulle abitudini d’ascolto culturalmente definite, con l’aiuto del prisma sonoro del [proprio] linguaggio musicale”. La mutevole stereofonia e le libere variazioni stilistiche mirano a una perdita dell’orientamento che guarda solo obliquamente a Scelsi, figura cui Lévy si rivolge anzitutto per l’interesse ai fenomeni sonori anziché alle note in senso classico; tale aspetto si traduce, difatti, in un’astrazione formale che tralascia senza indugio le dense tessiture e gli shift microtonali del maestro, evocando piuttosto una punteggiatura sconnessa e vivace che intende qualificarsi come linguaggio autonomo e intrinsecamente plurale.
Da ultimo, “Cardinem” di Ragnhild Berståd attinge alla stessa forza creatrice e allo stupore percettivo che furono alla base di capolavori scelsiani come “Ohoi” e “Natura Renovatur”: una linfa vitale che la compositrice norvegese trasferisce tanto nelle sezioni quanto nei solisti, che imitando il canto degli uccelli si fanno voce di un’armonia in cui convivono grazia e brutalità, un equilibrio al di là del bene e del male che Giacinto Scelsi ha continuamente canalizzato nella sua opera mistica e trasfigurante, oggi finalmente riconosciuta come imprescindibile.
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Klangforum Wien: Vera Fischer (flute); Eva Furrer (flute); Zinajda Kodrič (flute), Doris Nicoletti (flute), Thomas Frey (flute), Markus Deuter (oboe); Olivier Vivarès (clarinet), Bernhard Zachhuber (clarinet); Gerald Preinfalk (saxophone); Christoph Walder (horn); Reinhard Zmölnig (horn); Anders Nyqvist (trumpet); Andreas Eberle (trombone); Kevin Fairbairn (trombone); Daniel Riegler-Beer (trombone); Florian Müller (piano/midi keyboard); Gunde Jäch-Micko (violin); Sophie Schafleitner (violin); Annette Bik (violin); Dimitrios Polsoidis (viola); Ulrich Mertin (viola); Andreas Lindenbaum (cello); Benedikt Leitner (cello); Uli Fussenegger (double bass); Alexandra Dienz (double bass); Nikolaus Feinig (double bass); František Výrostk (double bass); Peter Schlier (double bass); Yaron Deutsch (electric guitar); Peter Böhm (sound design)
Skepticism and urban legends have marked the life of Count Giacinto Francesco Maria Scelsi, but also friendships and collaborations with illustrious musicians, the first witnesses of an expressive revolution that today would be much more difficult to question. Exalted in unsuspected times by the members of the experimental groups Nuova Consonanza and Musica Elettronica Viva (MEV), over time Scelsi has become an absolute reference in the field of drone and microtonal music, as well as the dedicatee of a monographic festival in Basel (held since 2015 for six consecutive editions).
The opening of the documentary archives of the Isabella Scelsi Foundation has made it possible to trace the source of the master’s inspiration: hundreds of tapes containing piano or Ondioline recordings, primordial and spontaneous ideas on which to base the subsequent development of the scores, elaborated by other trusted and academically prepared composers – above all, notoriously, Vieri Tosatti.
The official discography, too, saw Scelsi gradually emerge from the shadows, from the first publications by the Ananda and Accord labels to Mode Records’ ten-volume edition, a sort of definitive overseas consecration. However, we shouldn’t forget the qualitatively excellent contribution of the Viennese Kairos Music, which since its first years of activity became the protagonist of two albums that represent an ideal compendium of Scelsi’s chamber works: even back then the musicians were those of the award-winning ensemble Klangforum Wien, which today celebrates Scelsi’s heritage with eight recent pieces (commissioned by the ensemble and dated between 2012 and 2015) inspired in various ways by his powerfully visionary aesthetic.
By virtue of the prestigious composers involved in the project, the double CD Scelsi Revisited certainly couldn’t have been a collection of mere imitations: if in fact the Italian master was the staunch supporter of a creative activity conducted in a state of “lucid passivity”, in order to capture messages sent to him from the cosmos, the authors gathered here instead deal head-on with the original tracks of that mystical inspiration, making them the trigger of a multifaceted, and often more starkly perturbing, creative energy.
Proof of this are the first two pieces by the Swiss Michael Pelzel and Michel Roth, which instead of making their way through an indistinct mist reveal themselves with sudden attacks, resolutely fueling a propulsive thrust that reaches dizzying dramatic peaks.
Pelzel’s “Sculture di suono” [Sculptures of Sound] (2014), in particular, develop through intermittent volumetric accumulations in an attempt to obtain “organ-like sonorities with the ensemble”, which however “can dissolve ‘elastically’” its timbral multiplicity, to the point that “each sounds seems to move seamlessly to the next”. This instrumental approach goes hand in hand with a marked and even sensationalist writing, like an orchestral episode of Penderecki with the lively tones and the furious direction of a Leonard Bernstein: an elevation of sound masses that in the last section seem to inexorably fall to the ground, spiraling down into a vortex of descending glissati and solemn brass progressions.
The first CD of the collection also includes the works of two long-established masters, both fascinated by the archival materials to the point of including them in their scores.
Referring to the oneiric quality of Scelsi’s orchestrations, which he had the honor of meeting, in “Un sogno” [A Dream] the French Tristan Murail molds an unquiet state of suspension whose tension is partly restrained but nearly constant. Also furrowed by heavy descending motions, with certain late-Romantic echoes entrusted to the individual voices of the strings, in its second half the piece seemingly tends to become opaque, a mysterious rarefaction that dissolves the high-pitched ostinato of the violins to make room for the playback of Scelsi’s spectral tape. Murail has selected one of the unpublished improvisations at the Ondioline, then proceeding to its electronic synthesis by means of modern digital techniques, “to make it blossom and flourish, in order to build upon it new layers of electronic and instrumental textures, while, maybe, letting it sometimes emerge in its original simplicity”.
Thus also Georg Friedrich Haas – historically included in Klangforum’s repertoire – relies on the auratic charm of Scelsi’s recordings for his “Introduktion und Transsonation” (2012): a personal attempt to go back, as the Italian pioneer did, to an overall sound perception uninfluenced by the limits of notation, in order to recover all the load of acoustic “information” that usually gets lost in transcription. Haas takes the highs of the woodwinds to the extreme and leaves the brass section to seethe in a deep turmoil and then flow into shrill fanfares that, like patches of pure colour, stand out on the stratified sound canvas. An introduction which, as the title suggests, foreshadows a “transonance”, namely the unexpected closure into a collective whisper presaging a resurrection which, amidst intermediate false alarms, is long threatened but never achieved, circling around equally evocative piano and pianissimo.
Former Klangforum double bass player, Uli Fussenegger is the only one here to be part of the academic world as well as that of electroacoustic improvisation. Already published by Kairos in 2018, the second CD re-proposes his extended track “San Teodoro 8” (2013), whose title refers to the address of Scelsi’s Roman residence, now the headquarters of the Foundation. The main section, of about thirty minutes, can be regarded as a devoted work of electronic restoration: the combination of the original tapes in monodic or two-part forms does not alter the temporal structure or the pitches, where the Austrian author only operated a noise reduction and an adjustment in dynamics, “as not to touch upon the[ir] special patina”.
Then, in the last twelve minutes, aligning to the Ondioline’s oscillations enters a quartet featuring Fussenegger himself, Ernesto Molinari (contrabass clarinet), Martin Siewert (electric guitar, electronics) and Michael Svoboda (trombone): due also to the amplification, theirs is a tormented underlining of Scelsi’s cosmic lament, an expressionist “scream” with inflections between the serious and the facetious, a fleeting ecstatic abandonment and the lucidity of a faithful sound emulation.
Don’t be deceived, though, by the affectionate wordplay of the Ferrarese Nicola Sani: his tribute “Gimme Scelsi” (2013) wistfully looks back at the time when the protagonists and the audience of the Italian and international avant-garde discovered the Count’s enigmatic figure, perhaps in those same years when the Stones made their first successful live incursions in the ‘eternal city’; years when rock and experimental culture could more easily coexist in the vortex of youth movements – the utopia of a ’68 that perhaps only in music has kept its resolutions for the future.
A line-up of nine wind instruments distributed in space characterizes Fabien Lévy‘s “à tue-tête”, “a playful, almost humorous inquiry into culturally defined listening habits with the help of the sonorous prism of [his] own musical language”. The mutable stereophony and the free stylistic variations aim at a loss of orientation that only looks obliquely to Scelsi, a figure to which Lévy turns primarily for his interest in sound-phenomena rather than notes in the classical sense; this aspect translates, in fact, into a formal abstraction that promptly leaves the master’s dense textures and microtonal shifts behind, rather evoking a disconnected and lively punctuation that aims to qualify as an autonomous and intrinsically plural language.
Lastly, Ragnhild Berståd’s “Cardinem” by draws on the same creative force and perceptive amazement that were at the base of Scelsian masterpieces such as “Ohoi” and “Natura Renovatur”: a lifeblood that the Norwegian composer transfers both in the group sections and the soloists, the latter imitating the song of birds to give voice to a harmony in which grace and brutality coexist, a balance beyond good and evil that Giacinto Scelsi has continuously channeled in his mystical and transfiguring work, now finally recognized as essential.